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WIDE REWIND
BY 02/14

PIONIERE DI VALORE

MOTOCICLETTE. PLURALE FEMMINILE

L’australiana Dot, progettista di sidecar. L’americana Linda, fondatrice della prima associazione per promuovere il motociclismo tra le donne. La jamaicana Bessie, stunt su due ruote. La tedesca Anke Eve, pilota, giornalista e designer di moda per biker. In questo articolo di Silva Fedrigo (pubblicato su Chairmag.it e Motocicliste.net), una carrellata di donne vincenti

“Quante volte nei vecchi film abbiamo ammirato splendide emancipate signore come Grace Kelly guidare eleganti decappottabili attraverso bucolici percorsi di campagna? Ad un certo punto Hollywood sdoganò la donna al volante: era impossibile ignorarlo, sempre più donne guidavano, per necessità, desiderio di libertà o ovvio esercizio di una pari opportunità. Ma le moto? Dove sono le moto? Perché non compaiono donne in moto nei film, in televisione, negli spot pubblicitari, nelle riviste? E se compaiono perché sono di solito pin-up accostate alla moto come ‘decorazione’ e mai come vere bikers? Perché si dice spesso che per le donne è difficile guidare una moto? In fondo oggigiorno ci sono donne che svolgono compiti ben più complessi e faticosi, una volta tipicamente maschili… Viene un sospetto.
La macchina è diventata un bene di massa, buona parte dei modelli non rappresenta più il motore come potenza, sport e libertà, ma è lo strumento utile e quotidiano che serve per la gita domenicale della famiglia o per portare a scuola i bambini. Una macchina così la guidano anche le mamme, alle donne è permessa. La moto invece continua a suo modo ad essere uno status-symbol: più che un mezzo di trasporto, un oggetto associato ad un piacere e a uno stile di vita. Libertà, esplorazione, indipendenza, assenza di vincoli, orari, ruoli… E forse questo territorio ancora non è considerato ‘cosa da donne’.
Eppure le motocicliste ci sono e c’erano. Basta andare a cercarle, frugare nella rete, negli archivi delle associazioni e nei libri e sbucano personaggi superbi. Come Dot Robinson, australiana, figlia di un progettista e designer di sidecar emigrato negli Stati Uniti per allargare il proprio business nei motori. Dot cresce tra le motociclette ed è una delle pioniere delle due ruote al femminile. Negli anni ‘30 e ‘40, partecipa col marito, anche lui motociclista, a molte competizioni in diverse categorie; e, nonostante le difficoltà e l’ostilità che trova nell’ambiente, ne vince alcune di rilievo.
Con Linda Dugeau, biker incontrata in una gara, nel 1941 crea Motor Maids, la prima associazione americana che promuove il motociclismo tra le donne. Continuerà a viaggiare in moto, anche su distanze lunghe e lunghissime, fino all’età di 85 anni, collezionando un milione e mezzo di miglia percorse.
Bessie Stringfield non fu da meno. Nata in Jamaica ma cresciuta negli States, guida la sua prima moto, una Indiana Scout, a sedici anni. Poco più che adolescente, viaggia attraverso gli Stati Uniti guadagnandosi da vivere con spettacolari numeri da stunt nei parchi divertimenti. Spesso, a causa dei comportamenti razzisti che incontra nei suoi viaggi, è costretta a dormire sulla stessa motocicletta su cui si sposta. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale lavora come corriere civile, trasportando in moto documenti per l’esercito da una base militare all’altra. E’ la prima donna afro-americana ad attraversare in solitaria gli Stati Uniti, e lavorando per l’esercito farà la traversata otto volte in quattro anni. Nel 2002 è entrata nella Motorcycle Hall of Fame: una specie di Nobel delle due ruote!
Incrociando foto e informazioni frammentarie in rete si trova notizia di un’altra biker inarrestabile, piena di charme e carisma. La leggendaria Anke Eve Goldmann, alta, bella, tedesca, famosa per le sue straordinarie prestazioni negli anni ‘50 e ‘60 su moto che nessuno all’epoca pensava una donna potesse guidare e controllare: le pesanti e potenti BMW R67/3 e R69. Non solo: la signorina Goldmann correva nei circuiti più impegnativi e difficili, come Nurburgring, lasciando tutti a bocca aperta, al contempo scrivendo reportage e pezzi di vario genere per le riviste di settore. In quanto donna, però, non viene ammessa a partecipare a competizioni superiori come i Gran Premi.
Ma non si accontenta delle gare: è in sella tutto l’anno, con ogni condizione atmosferica, e proprio per questo inizia a disegnare e progettare abbigliamento tecnico in pelle, che oltre che bellissimo (tuttora un riferimento di stile ineguagliato) fosse davvero caldo, comodo e funzionale. Fu lei a inventare la famosa zip diagonale sui giubbetti da moto, particolarmente comoda per le biker donne. Freddo, pioggia e neve, nulla la ferma. Partecipa anche ogni anno al celebre Elephant Rally, una specie di esperienza estrema per qualunque biker che abbia il coraggio di correre sulla neve e il fango.
E come loro ce ne sono davvero tante… Ogni tanto riemergono da soffitte e vecchie scatole altre foto ingiallite di signorine compostissime su moto luccicanti o di amazzoni temerarie come Anke Eve, e qualcuno le mette su internet. Perciò il mio consiglio è: se non sapete ancora tutto, ma proprio tutto di vostra nonna, date una controllatina ai vecchi album e ai ricordi di gioventù. Chissà che non la troviate orgogliosamente in posa su una Guzzi o una Gilera, pronta a sgasare, via, verso strade di campagna, curve e vento”.

LE SORELLE VAN BUREN
E THERESA WALLACH

Nella carrellata delle donne pioniere che hanno contribuito alla storia del motociclismo al femminile, non possono mancare le sorelle americane Van Buren e l’inglese Theresa Wallach che sfidarono le convenzioni dell’epoca, entrando nella Hall of Fame del motociclismo mondiale.

Nel 1916 gli Stati Uniti si stavano preparando a entrare nella Prima Guerra Mondiale, e avevano bisogno di staffette per recapitare i messaggi dal quartier generale militare alle unità attive. Le sorelle Augusta e Adeline Van Buren credevano che le donne potessero fare questo servizio, mentre gli uomini erano impegnati in altre attività.

Le sorelle cavalcarono in moto 5.500 miglia attraverso gli Stati Uniti in 60 giorni, per dimostrare che erano pilote capaci. Sono state le prime donne a raggiungere la cima del Pike’s Peak, e tra i primi motociclisti ad attraversare gli Stati Uniti coast to coast. Nonostante i loro successi, le autorizzazioni per diventare staffette furono negate. Comunque hanno dimostrato che le donne potevano guidare motociclette, aprendo la strada al motociclismo femminile.


Theresa Wallach è stata una motociclista inglese di spicco nel corso degli anni Trenta e Quaranta. Era cresciuta nei pressi di una fabbrica motociclistica britannica, e i suoi amici le insegnarono a guidare. Cercò di diventare membro di un club di motociclismo locale, ma fu rifiutata perché donna.

Theresa iniziò a competere in gare motociclistiche locali, e a vincere. Ma i suoi genitori la facevano nascondere i suoi trofei, perché essere una donna motociclista non era accettabile all’epoca. Wallach poi fu accettata dal mondo del British Racing, dopo che lei e un’amica nel 1934 viaggiarono per più di 6.000 miglia da Londra a Città del Capo in Sud Africa (su una moto con sidecar e carrello tenda al seguito), sfidando deserti, animali selvatici, difficoltà di ogni genere. Wallach scrisse un libro sull’avventuroso viaggio, intitolato “The Rugged Road”, tradotto in varie lingue. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Theresa diventò il primo dispatch rider donna dell'esercito britannico. Dopo la guerra si è trasferì in Nord America. Guidò per 32 mila miglia in due anni e mezzo attraverso gli States, stabilendosi poi a Chicago. Divenne un meccanico di moto e aprì la propria concessionaria di moto. Nel 1973 vendette il negozio e aprì la Easy Motorcycle Riding Academy a Phoenix, in Arizona. Il suo nome è iscritto nella Motorcycle Hall Fame mondiale.

The Rugged Road