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UMBERTO ECO:
“LA VESPA CHE NON COLSI”

“FRUTTO PROIBITO, SIMBOLO DI DESIDERIO, STRUMENTO MAGICO”: L’ICONICO SCOOTER NEI RICORDI DI GIOVENTU’ DEL GRANDE STUDIOSO E INTELLETTUALE, TRA IL BIONDO VESPISTA CHE CONQUISTO’ LA COMPAGNA DI LICEO E LA GRAZIA AEREA DI UNA FANCIULLA IN GONNA LUNGA ABBRACCIATA AL SUO CENTAURO…

Audrey Hepburn abbracciata a Gregory Peck in Vespa nel film “Vacanze Romane” (1953)

20 anni fa, in occasione del 50° anniversario di Vespa, Piaggio realizzò il volume “Il mito di Vespa”: una raccolta di scritti firmati da autorevoli rappresentanti del mondo della cultura. Tra loro, Umberto Eco (Alessandria, 1932-Milano 2016), semiologo, filosofo, docente universitario e scrittore, noto a livello mondiale per il romanzo best seller “Il nome della rosa”, da cui fu tratto l’omonimo film con Sean Connery, tradotto in 47 lingue. Per ricordare Umberto Eco, scomparso a 84 anni, il 19 febbraio, riportiamo una sintesi di quel saggio di vent’anni fa, nei passi in cui emergono i ricordi da liceale legati alla Vespa, che rappresentò per lui un desiderio sublimato e incorruttibile. Che rimase in appagato, come rivela sin dal titolo del suo scritto: “La Vespa che non colsi”.

L’attrice Lucia Bosè con il marito: il torero spagnolo Miguel Dominguin

FENOMENTO DEL DOPOGUERRA E OLTRE. “Chiamato a testimoniare su quello che certamente è stato un fenomeno sociale per l’Italia del dopoguerra (e oltre), mi trovo smarrito, perché mi accorgo che questo fenomeno mi ha sfiorato, ma da lontano. Sono passato a zig zag con un’antica bicicletta attraverso il lieto carosello delle Vespe come uno straniero, ma non indifferente. Chiamato a testimoniare mi rendo conto che non era che la Vespa non mi riguardasse: ne rimuovevo la presenza perché l’avvertivo come un frutto proibito. Giocavano, per dirla in termini ormai desueti, e la struttura economica e l’ideologia. Appartenevo a una famiglia non ricca, certo, ma neppure povera. Famiglia impiegatizia, dove si aveva l’orgoglio cli non far mancare nulla ai ragazzi, in termini di cibo, vestiti, educazione, e un mese in campagna ogni anno, affittando due stanze presso lontani parenti contadini. Questa agiatezza veniva pagata con un’avveduta amministrazione, un orrore degli sprechi, una calma indifferenza al superfluo. D’altra parte occorre forse ricordare che cos’era l’economia domestica nell’Italia prima e dopo la guerra, quella in cui il sogno di ogni piccolo borghese, come recitava la canzone, era di avere “mille lire al mese”… A nessuno sarebbe mai venuto in mente che io potessi chiedere a mio padre un motorino, quando pedalavo ancora su una bicicletta anteguerra, dai copertoni butterati da mille fati cosi trapianti. Sarei stato guardato con tale stupore che mai mi venne in mente che avrei potuto farlo. E quindi non avvertivo neppure il bisogno di questa cosa impensabile”…

ADV Vespa Primavera, anni ‘70

QUEI COMPAGNI DI SCUOLA IN VESPA. “Eppure le Vespe erano lì, mi sfrecciavano davanti, mi attorniavano, in mano a miei coetanei, o di poco maggiori… E quelli (che pure erano miei compagni di scuola, amici anche intimi) a una certa ora del giorno si separavano da noi, entravano in un altro mondo. In quell’altro mondo Essi avevano la Vespa. La Vespa stava per me dalla parte del boogie woogie e delle Alpi innevate. La inforcavano all’uscita dall’edificio liceo-ginnasio, in cui eravamo stati uniti sino a pochi minuti prima, dagli stessi terrori e dalle stesse invenzioni goliardiche. In Vespa arrivavano alla sera sulla piazzetta in cui ci si stemperava in lunghe chiacchierate sulle panchine…”.

ADV Vespa Primavera, anni ‘70

L’AMATA CONQUISTATA DAL BIONDO VESPISTA. “…Amavo, come ad alcuni avviene a quell’età. Sui miei amori languidamente platonici scrivevo di nascosto poesie, non ritenevo neppure possibile dichiarare la mia passione alla Lei irraggiungibile, fiore gentile di cui mi sentivo bruco importuno… Incrociavo il gruppo delle ragazze, guardavo l’amata, e per quel giorno era fatta, avevo toccato il cielo con un dito. Ma certe giornate la ragazza non era col gruppo, e mentre affrettavo il passo temendo che una divinità gelosa me l’avesse sottratta, qualcosa di orrendo accadeva … Essa era ancora là, davanti alla scalinata del liceo-ginnasio, come in attesa. Ed ecco arrivare (in Vespa) un lui con il quale non si poteva competere, perché era già universitario, alto, biondo, sprezzante… Lui la caricava in Vespa e, amazzone perversa – dunque tanto più desiderabile – essa si sottraeva alla mia presa, ogni volta per sempre”. E, rivolto alle generazioni d’oggi (in jeans, minigonne e hot pants), Eco annotava “quale grazia perversa, quale eleganza aerea, potesse conferire una gonna lunga alla ragazza abbracciata al suo centauro, sul sedile posteriore di una Vespa che s’avviava scattando e poi fuggiva”…
“Ecco che cosa è stata per me la Vespa – scriveva Umberto Eco in chiusura del suo intervento – Uno strumento magico, mai veramente desiderato perché al di fuori di ogni possibile desiderio, che al tempo stesso frustrava il mio desiderio – oppure no, lo sublimava, e lo lasciava vivere in uno spazio non corruttibile…”.